verso un modello di salute mentale pubblic

In Italia si sta iniziando ad affrontare, non senza ritardo, il problema della Public Mental Health, ossia della presa in carico da parte del Sistema Sanitario Nazionale dei problemi di salute mentale. Dall’ultimo report del Ministero della Salute italiano emerge una situazione piuttosto compromessa: si ha capacità di azione solo per persone con problemi cronicizzati, tramite un supporto prevalentemente infermieristico e farmacologico. 

Salute mentale e benessere posseggono diverse connessioni, ma non sono implicati necessariamente l’una dall’altro: si tratta della visione espressa dal modello dei due continuum, secondo il quale salute mentale e benessere sono assi ortogonali che danno luogo a quattro possibili scenari, ossia elevato benessere in presenza di malattia mentale, elevato benessere in assenza di malattia mentale, benessere scarso in presenza di malattia mentale e benessere scarso in assenza di malattia mentale (Keyes, 2002). 


Come afferma la Commission on Global Health and Sustainable Development, il benessere è un bene pubblico, e può essere definito in diverse maniere che dipendono in parte anche dalla cultura di afferenza; la resilienza è invece la capacità di gestire e adattarsi a diversi tipi di avversità, quali stress, traumi, abusi e povertà. In un contesto caratterizzato da policrisi, la resilienza è una qualità cruciale; i gruppi sociali più esposti al rischio di disturbi mentali e scarso benessere sono quelli su cui alcuni fattori esercitano una maggiore pressione: ad esempio, tra i minorenni vi sono quelli con bisogni educativi speciali, i senzatetto, le persone assistite dai Servizi Sociali e i giovani autori di reato; tra gli adulti i membri di gruppi minoritari, neo-mamme, persone vittime di emergenze umanitarie, rifugiati, persone con disabilità sensoriale, disoccupati, giovani donne. 

Campion et al. (2022) propongono uno schema, articolato in diverse tabelle di sintesi, per aggregare le informazioni fondamentali alla creazione di un sistema di PMH, a cominciare dalla distinzione tra tre livelli di azione:
  1. primario - connesso alla prevenzione dell’insorgenza di problemi di salute mentale, alla promozione dei fattori di protezione e della resilienza; 
  2. secondario - coincide con lo sviluppo di capacità di intervenire precocemente, focalizzandosi su popolazioni che manifestino primi sintomi di deterioramento della salute mentale e abbiano subito delle avversità recenti;
  3. terziario - riguarda la minimizzazione della disabilità, in particolare rivolta a popolazioni che abbiano problemi inveterati di salute mentale e vivano in condizioni avverse da lungo tempo.
Si può descrivere la salute mentale come una proprietà individuale, derivante da difficoltà di un individuo a interagire con l’ambiente circostante; oppure la si può collocare proprio nella relazione tra i due mondi, nell’interfaccia. È l’essenza, questa, del modello sulle determinanti sociali della salute, che cita fattori quali disoccupazione, condizioni abitative, l’ambiente di lavoro ecc. come cruciali nel determinare la salute, inclusa quella mentale. Nel lavoro di Campion et al., la prima categoria di interventi citati tra quelli primari sono quelli che contrastano le disuguaglianze, la povertà economica, energetica e alimentare, e promuovono l’ingresso nel mondo del lavoro e la protezione sociale. Seguono gli interventi sui genitori, a scuola e gli interventi connessi allo stress lavorativo, alla prevenzione della violenza e dell’abuso, alla mitigazione dei rischi umanitari. 

Quando si pensa alla psicologia vengono in mente gli interventi secondari, tra l’altro di un solo tipo: la psicoterapia; l’idea di spostare l’attenzione sugli interventi primari, e che questi possano spostarsi sul contrasto alle povertà regala alla psicologia un campo d’azione che, almeno nella tradizione italiana, non è stato mai a sufficienza  esplorato e declinato in interventi; anzi, c’è la percezione che si tratti di un ambito estraneo al lavoro psicologico. L’indagine del 2012 del CNOP Lo stato e le prospettive delle professioni psicologiche in Italia rivela come la maggior parte delle prestazioni degli intervistati (un campione di 1168 professionisti) si concentri nell’ambito delle prestazioni cliniche, tipo sostegno psicologico, psicoterapia, counselling psicologico. Simmetricamente, l’Indagine di Mercato sulla Psicologia Professionale in Italia di ENPAP mostra come le aspettative della popolazione rispetto al lavoro psicologico si concentrino nei campi della psicoterapia. 

Di fronte al proliferare, a volte scomposto e sensazionalistico, di misure per il contrasto dei problemi di salute mentale, forse è arrivato il momento di intessere tra loro le diverse esperienze messe in campo per elaborare un modello integrato e condiviso, capace di articolarsi lungo tutta la filiera delle determinanti della salute e dei possibili livelli di intervento, perché una psicologia italiana tutta spostata sul livello secondario e a prevalenza privatistica rischia di non essere una psicologia capace di rispondere davvero ai bisogni della popolazione. 

Keyes C. L. (2002). The mental health continuum: from languishing to flourishing in life. Journal of health and social behavior43(2), 207–222.

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