rabbia e ingiustizia

Tendiamo a rappresentare le emozioni ricorrendo spesso al modello di Paul Ekman, che le distingue in primarie, ossia universali ed elementari, e secondarie, cioè relative e complesse. Ekman perfezionò la sua visione sulle emozioni lavorando in Papua Nuova Guinea, dove negli anni ‘70 visse a stretto contatto con un villaggio di indigeni isolato e praticamente privo di contatti con altre civiltà; vedendo come l’espressione facciale di emozioni come rabbia, gioia, paura, sorpresa, disgusto e tristezza fossero le stesse che nelle altre parti del mondo, concluse che queste fossero gli ingredienti fondamentali delle altre emozioni, che catalogò come secondarie. La stessa visione prevale in rappresentazioni come il cartone animato Inside Out.


Bisogna tuttavia pensare alle emozioni non solo come a una manifestazione che dal di dentro si rivolgono al di fuori, “inside-out” per l’appunto; le emozioni sono però risposte a eventi esterni, e in tal senso devono essere considerate come segnalatori di qualcosa che sta al di fuori: come le definiscono Campos et al. (2004) nell’Encyclopedia of Applied Psychology, sono «[…] pattern di percezione, esperienza, reazione fisiologica e comunicazione di breve durata, fondati biologicamente, che si verificano in risposta a specifiche sfide od opportunità nell’ambiente fisico e sociale» (pag. 714). In questo modo le emozioni non si qualificano come mero fenomeno intrapersonale, ma diventano uno strumento - immediato, inscritto nel corpo - per regolare le relazioni con gli altri e le altre cose. La sorpresa diventa così il segnalatore di qualcosa di inatteso e piacevole; un oggetto o una persona è invece inattesa e pericolosa, invece, viene segnalato come paura.

Quale sarebbe la funzione della rabbia? Secondo Aaron Sell, che da decenni ne approfondisce la natura evolutiva, la rabbia troverebbe spazio all’interno di una grammatica relazionale fondata sullo squilibrio, e avrebbe la funzione di riequilibrare le relazioni. Secondo questa visione, detta recalibrational theory, la rabbia servirebbe a risolvere conflitti di interessi a favore della persona arrabbiata (Sell et al., 2017): in una relazione cooperativa, si traduce nel segnalare “fa’ di più ciò che voglio io, altrimenti farò meno di ciò che vuoi tu”, mentre in una relazione non cooperativa segnalerebbe “fa’ di più ciò che voglio io, altrimenti ti infliggerò dei costi”. 

Il modello mette quindi in evidenza l’esistenza di un meccanismo implicito nelle relazioni umane, teso a regolarle affinché gli squilibri siano entro un range tollerabile, mantenendo di fatto una situazione di giustizia oscillante. L’autore identifica nella Welfare Trade Ratio (WTR) il nucleo computazionale che starebbe alla base delle relazioni di reciprocità, un calcolo cognitivo che mette a confronto quanto gli altri fanno per il nostro benessere e quanto noi facciamo per il loro, rispetto al quale la rabbia si attiva come sistema di rimodulazione. Il lavoro di Sell connette dunque la rabbia a temi come la giustizia sociale, e le restituisce un valore costruttivo nelle relazioni umane, aprendo a una lettura e interpretazione delle manifestazioni rabbiose come esito della violazione di aspettative di reciprocità. 

Sell, A., Sznycer, D., Al-Shawaf, L., Lim, J., Krauss, A., Feldman, A., Rascanu, R., Sugiyama, L., Cosmides, L., & Tooby, J. (2017). The grammar of anger: Mapping the computational architecture of a recalibrational emotion. Cognition168, 110–128. https://doi.org/10.1016/j.cognition.2017.06.002




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