della rabbia e dell'odio

Ciò che fanno le istituzioni di uno Stato è, in estrema sintesi, definire l’insieme di vincoli e opportunità che caratterizzano l’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono: se si attua una politica di sostegno al reddito per donne o uomini neo-genitori, è possibile che aumenti il tasso di fertilità, se si introducono politiche di stabilizzazione dei contratti di lavoro si riduce la precarietà. Sembra una considerazione banale, ma a partire da questa si possono fare molte riflessioni che invece banali non sono. 

È quanto fanno Sell e Sznycer (2023), i quali in un lavoro dal titolo Societal institutions echo evolved human nature: An analysis of the Western criminal justice system and its relation to anger descrivono come le politiche pubbliche creino nicchie all’interno delle quali i comportamenti evolvono, tenendo presente però un dato cruciale: non sempre gli effetti di una politica si sviluppano linearmente e lungo tracciati prevedibili

Kamalnv - Opera propria, CC BY 3.0


Durante il periodo della dominazione inglese dell’India, accadde che molti abitanti furono morsi da cobra; il Governo inglese cercò di governare il fenomeno applicando un principio semplice: mise una piccola taglia sui cobra consegnati morti, incentivando così la riduzione della popolazione di cobra. Si venne tuttavia a creare un effetto paradossale, in quanto la popolazione di cobra aumentò: infatti, per poter ricevere l’incentivo monetario, molti si misero ad allevare cobra in cattività. 

Le politiche pubbliche incappano spesso nell’effetto cobra, ossia in esiti imprevisti, collaterali, ciò che Wundt definiva “eterogenesi dei fini”. Le decisioni politiche, che vanno poi a fissarsi in forme istituzionali, si sorreggono sempre su teorie implicite circa il funzionamento del comportamento umano, del tipo “se introduco la condizione X, le persone faranno Y”; se la teoria però è sbagliata, o applicata a un contesto non adatto, i risultati potrebbero essere distanti, anche molto, dalle aspettative. 

Ed è proprio sulla base di simili considerazioni che gli autori analizzano il sistema penale statunitense; ne esplicitano le premesse teoriche, che possono essere ricondotte a una visione sulla giustizia e una sulla rabbia. In particolare, le pene introdotte dal codice penale hanno lo scopo di compensare lo squilibrio di giustizia inferto alla vittima: chi perpetra un crimine, infatti, lede quel principio per cui le interazioni umane non dovrebbero in genere provocare malesseri a nessuna delle due parti, fatto salvo alcune eccezioni. In secondo luogo, buona parte della struttura del sistema di giustizia penale corrisponde alla grammatica della rabbia: una persona si arrabbia, infatti, quando qualcuno è scorretto o ingiusto nei suoi riguardi, ossia quando consapevolmente, volontariamente qualcuno le inferisce un danno. Si tratta di una concezione della rabbia detta della rabbia come strategia di ricalibrazione (introdotta dallo stesso Sell in lavori precedenti).

Assumendo come teorie implicite una visione sulla giustizia e una sulla rabbia, è possibile riflettere su quali aspetti debbano caratterizzare un sistema penale: per preservare un criterio di giustizia come reciprocità diviene fondamentale considerare la volontarietà del gesto, ossia se davvero si è commesso un danno con l’idea che ciò fosse in qualche modo giustificabile, e se non vi fossero circostanze attenuanti, ossia se il gesto non fosse in qualche modo indotto od obbligato. D'altro canto, la grammatica della rabbia prescriverebbe che, una volta ricalibrata l'ingiustizia iniziale, l'accanimento contro l'aggressore finisca. 


Milano - Piazza Beccaria - Monumento a Cesare Beccaria - Foto di Giovanni Dall'Orto

In conclusione, gli autori suggeriscono di adottare come strategia di analisi dei sistemi istituzionali il modo in cui questi incanalano e interagiscono con il sistema cognitivo. Diviene così possibile distinguere, per esempio, i sistemi penali basati sulla rabbia e sulla giustizia da quelli fondati sull'odio, ossia sull'esecuzione della pena a prescindere da ogni circostanza e premessa. Su questo punto, è interessante notare come in Italia negli ultimi anni stia aumentando la quota di persone favorevoli alla pena di morte: come indica il Censis nel 2020, 4 italiani su 10 sono a favore, e questo può essere ricondotto alla perdita di fiducia nel sistema giudiziario, come indicato in un sondaggio da Nando Pagnoncelli. Come scrisse Cesare Beccaria, «Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse». Se le pene non sono però più un fondamento di certezze per i cittadini, può darsi che la grammatica dell'odio venga a sostituirsi a quella della rabbia. 

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